Spremitura a freddo: cosa significa davvero sull’etichetta dell’olio?

Leggere l’etichetta di una bottiglia d’olio può sembrare un gesto semplice, quasi automatico. Ma basta soffermarsi su certe espressioni per accorgersi che dietro quelle parole si nasconde un intero mondo di tecniche, scelte e filosofia produttiva. Una tra le diciture più diffuse – e più abusate – è “spremitura a freddo”. Tre parole che evocano genuinità, qualità, rispetto della materia prima. Ma che cosa significano davvero?

Se da un lato il consumatore medio la interpreta come una garanzia, dall’altro il termine rischia di diventare una formula generica, priva di un legame reale con la qualità effettiva del prodotto. Per comprendere a fondo cosa indica la spremitura a freddo, serve uscire dai luoghi comuni e guardare da vicino ogni passaggio della produzione.

Un’espressione antica, ma ancora attuale

L’origine del termine “spremitura” risale ai metodi più antichi di produzione dell’olio, quando le olive venivano effettivamente pressate meccanicamente con torchi o presse in pietra. Il verbo evocava un gesto fisico, lento, ripetuto, in cui il frutto veniva letteralmente spremuto per ricavarne la parte oleosa.

Oggi il processo è cambiato. Le moderne tecnologie non prevedono più una vera “spremitura” nel senso letterale: le olive vengono frante, gramolate ed estratte attraverso centrifughe. Eppure, il termine è rimasto, quasi come un’eredità lessicale, legata più al sentimento che alla tecnica.

Ecco allora che “spremitura a freddo” si presenta come un compromesso tra innovazione e tradizione, tra ciò che si faceva una volta e ciò che si fa oggi.

Il significato tecnico del “freddo”

La parte davvero significativa della formula è proprio “a freddo”. Qui non si parla più di poesia, ma di temperatura di lavorazione.

Secondo il regolamento europeo, un olio può essere definito estratto a freddo solo se durante tutte le fasi di produzione la temperatura non supera i 27°C. Non un grado in più. Questo limite è stato fissato perché oltre quella soglia, alcune componenti preziose dell’olio – come aromi volatili, polifenoli, vitamine – iniziano a degradarsi.

Un olio prodotto a freddo conserva:

  • una maggiore carica aromatica

  • una migliore stabilità ossidativa

  • un profilo nutrizionale più ricco

È un olio vivo, autentico, che racconta l’identità del frutto senza distorsioni.

Perché la temperatura conta davvero

Lavorare sotto i 27°C non è semplice, né scontato. Richiede cura, investimenti e scelte difficili. Innanzitutto, perché lavorare a freddo riduce la resa: da una stessa quantità di olive si ottiene meno olio. Ma quel che si perde in volume, si guadagna in intensità, eleganza, freschezza.

Significa, in pratica, preferire la qualità alla quantità.

Non tutti i frantoi lo fanno. Alcuni, pur dichiarando la spremitura a freddo, operano a temperature limite, magari durante la gramolatura, per velocizzare i tempi o aumentare l’estrazione. In questi casi, la dicitura in etichetta può essere formalmente corretta, ma sostanzialmente fuorviante.

Il problema non è solo tecnico, ma etico. Perché promettere un prodotto lavorato con rispetto e consapevolezza significa assumersi una responsabilità verso chi lo acquista.

Quando l’etichetta non basta più

Affidarsi alle scritte stampate sul retro della bottiglia può essere un buon punto di partenza, ma non è sufficiente per capire se un olio è davvero ciò che dichiara. La trasparenza produttiva non si misura solo in parole, ma in scelte quotidiane: raccogliere le olive al momento giusto, frangerle entro poche ore, conservarle al riparo da luce e calore, evitare ossidazioni.

Un olio lavorato davvero a freddo si riconosce al naso e in bocca. Ha un profumo vegetale, netto, di erba tagliata, pomodoro verde, mandorla. Ha un gusto complesso, con note amare e piccanti ben equilibrate. Non è mai piatto, né indistinto. È riconoscibile. E spesso, è indimenticabile.

Il ruolo del produttore: chi fa la differenza

Dietro ogni olio che merita il nome “spremuto a freddo” c’è un produttore che sceglie di non barare. Che preferisce dire meno, ma fare di più. Che sa rinunciare a un litro in più pur di non alterare la materia prima. E che non ha bisogno di slogan, perché ogni assaggio parla da sé.

È qui che entrano in gioco le aziende che hanno fatto della coerenza il proprio tratto distintivo. Realtà che non inseguono il mercato, ma costruiscono fiducia con la costanza. E che trattano l’etichetta come uno specchio, non come una maschera.

Un esempio concreto di questo approccio è rappresentato dal frantoio lucano di Barile, in provincia di Potenza, Olio Barilese, che lavora secondo logiche artigianali, monitorando ogni fase con rigore. La spremitura a freddo non è un claim, ma una pratica quotidiana: dalle olive raccolte a mano fino alla conservazione in locali termoregolati, ogni scelta è fatta per non compromettere la qualità. Non si tratta di una tecnica isolata, ma di una filosofia produttiva coerente, basata sul rispetto del frutto e del consumatore.

Il freddo non basta: serve coerenza

C’è un’ultima considerazione da fare. La temperatura è fondamentale, ma non è tutto. Un olio può anche essere lavorato sotto i 27°C, ma se le olive sono vecchie, mal conservate, raccolte tardi o già fermentate, la qualità sarà comunque compromessa.

La spremitura a freddo è efficace solo se inserita in un processo virtuoso. Dove il tempo, la selezione, la cura dei dettagli e l’integrità della materia prima si tengono insieme.

In altre parole, non bisogna cadere nell’errore opposto: pensare che il “freddo” sia la soluzione magica a ogni problema. È un tassello importante, ma non autosufficiente. Serve un approccio complessivo fondato su trasparenza, artigianalità, consapevolezza.

Un’etichetta che chiede ascolto

Alla fine, leggere “spremuto a freddo” non dovrebbe bastare. Dovremmo imparare a interrogarci, assaggiare, fare domande, pretendere chiarezza. Solo così quel termine potrà tornare a essere ciò che promette: non un semplice richiamo alla qualità, ma la prova tangibile di un olio che nasce da scelte vere, non da parole vuote.

Un’etichetta può raccontare molto, ma il bicchiere lo dice meglio. Sta a noi imparare ad ascoltarlo.